Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

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Il comandante Italiano e il segreto della felicità

a cura di in data 27 Aprile 2012 – 14:38

Nello Quartieri (Italiano) con Giorgio Pagano Adelano di Zeri, 22 luglio 2011, anniversario della morte di Dante Castellucci (Facio)

Città della Spezia – 22 Aprile – 2012 – Il 25 aprile, durante la manifestazione al Monumento alla Resistenza ai Giardini Pubblici, leggeremo una bellissima lettera del partigiano Nello Quartieri (il comandante Italiano). “Siamo stati fortunati di aver vissuto questa vita e siamo orgogliosi di un patrimonio che nessuno ci può togliere”, scrive Italiano, e ricorda “un’atmosfera che sapeva di cose nuove” e “le povere case ospitali contadine, le cucine annerite e la spartizione della <santa pattona> condita solo di buoni sentimenti”. Italiano (lo chiamo sempre così: anche perché lui, quando mi chiama al telefono, mi dice “ciao, sono Italiano”, e con il nome di battaglia firma le sue lettere) era allora poco più che ventenne; oggi ha 91 anni e qualche acciacco, ma è ancora  giovanissimo: mantiene, della sua adolescenza, la pulizia morale, la fiducia nei  principi e negli ideali. Ha ancora vent’anni  perché a quell’età ha fatto la scelta che ha segnato la sua vita.

Ufficiale di complemento in Tunisia, originario di Mocrone di Villafranca, Italiano fu ferito nel ’42; l’8 settembre del ’43 era a Mocrone, dopo pochi giorni salì ai monti a cercare i partigiani, per evitare che i tedeschi, nell’ignavia vile dei generali italiani, lo prendessero prigioniero. Lo mosse, mi racconta, “un impulso spontaneo che non sopportava più soprusi” e “un sentimento di solidarietà verso gli oppressi maturato con le letture giovanili dei libri di Jack London e Victor Hugo, uno spirito che poi ritrovai tra i partigiani”. Il grande scienziato Alberico Benedicenti, che si era ritirato a Mocrone,  lo spinse a questa scelta, indirizzandolo a Cervara. Da lì alle cascine di Nola, e poi l’incontro con il primo partigiano, Luciano Gianello, uno degli eroi della battaglia del Lago Santo: ”bevve del vino dal nostro fiasco, ma si pentì subito per non averlo diviso con i suoi compagni”. Italiano, come tutti gli altri partigiani, insiste sempre sulla solidarietà, la condivisione e l’eguaglianza quali valori che contraddistinsero la vita sui monti. Gianello lo condusse nel battaglione “Guido Picelli”, di cui era comandante Dante Castellucci (Facio). Italiano ricorda la povertà dell’equipaggiamento e dell’armamento della formazione, ma anche il clima di fraternità e di collaborazione che si viveva al suo interno. Facio era il garante dell’assoluta eguaglianza di condizione tra tutti i partigiani: “tutto veniva diviso in parti eguali, dal cibo alle sigarette, dal vino agli abiti”. Era una comunità, coerente con gli ideali comunisti di Facio: ma testimonianze analoghe vengono da partigiani di formazioni di altro orientamento ideale. La Resistenza, dice sempre Italiano, “aveva anche una dimensione culturale”. E mi racconta, per spiegarmelo, di quando una volta mangiarono in una casa in cui non c’era nessuno, ma lasciando una lettera e dei soldi; e di come Facio insegnasse, quando entravano in una casa contadina, “a pulirsi i piedi e a rigovernare la cucina”.

Italiano fu poi, il 5 luglio del ’44, preso prigioniero dai tedeschi, mentre scendeva a Mocrone per raccogliere medicinali e viveri. Fu rinchiuso in un camion insieme ad altri partigiani per essere condotto nei campi di concentramento, ma “piuttosto morire che essere internato -racconta- mi gettai dal camion e riuscii miracolosamente a evitare gli spari”. Era in Emilia. Dormì una notte sopra un albero, poi con l’aiuto dei contadini, di cascina in cascina, raggiunse il “Picelli” ad Adelano di Zeri. Purtroppo in quelle due settimane era avvenuto l’irreparabile: Salvatore Cabrelli aveva aumentato il suo potere nel “Picelli” e sviluppato la sua azione per suscitare invidie  e risentimenti nei confronti di Facio,  fino al processo sulla base di false accuse e poi alla sua uccisione, il 22 luglio (sulla vicenda si può leggere, nel sito www.associazioneculturalemediterraneo.com, il mio articolo sul Secolo XIX “E’ tempo di riabilitare il partigiano Facio”). Italiano rientra il 20 o il 21 luglio, incontra Facio e gli rinnova la sua fedeltà, ma ormai la sorte di Castellucci è segnata.

Italiano si batte da tempo per “il coraggio della verità”. Già nel 1970 scrisse sul “Lavoro” l’articolo “E’ presente alla festa di aprile anche l’indimenticabile Facio”, in cui definiva “giacobina” la sentenza del processo: “una decisione giacobina pose fine ad una vita che doveva dare ancora il meglio di sé stessa, ed anche oggi quel tragico avvenimento dell’estate del 1944 ci commuove, ci rattrista e rende inquieta la nostra coscienza. Sono trascorsi ventisei anni da allora, molte cose hanno il suggello del tempo, ma nei partigiani che lo hanno conosciuto da vicino, nelle popolazioni che ebbero sgomento alla luttuosa notizia, non si è affievolita la sensibilità per testimoniare a Facio la gratitudine per un insegnamento duraturo, per una devozione senza fine, per una fierezza indomita che sono e rimarranno onore e vanto della Resistenza e dei suoi figli”. Facio, mi racconta, “era una sorta di Che Guevara, dopo la liberazione non si sarebbe fermato e sarebbe andato dovunque nel mondo a combattere per la libertà”. I rapporti di Italiano, divenuto comandante del nuovo “Picelli”, con Cabrelli si fecero, dopo la morte di Facio, molto difficili, fino alla costituzione della brigata “Matteotti-Picelli”, per la quale spinsero i dirigenti socialisti Pietro Beghi e Agostino Bronzi. La brigata fu protagonista di molti episodi della Resistenza, dal rastrellamento in Val di Vara del 20 gennaio 1945 al fallito attacco ai tedeschi a Pontremoli del 14 aprile, fino alla discesa dalla Foce nella città liberata, il 25 aprile. Italiano si iscrisse al Psi nel 1949: volle essere un semplice militante, e rifiutò ogni incarico istituzionale. Per me è sempre stato un simbolo della grande vitalità e delle tante ragioni, nonostante i tanti errori, della tradizione socialista riformista a Spezia e nel Paese.

La tragica vicenda di Facio, dice Italiano, “non offusca il messaggio morale dei giovani ribelli”.  Un messaggio ancora valido, come scrive nella lettera che leggeremo il 25 aprile: “un’austerità sorretta da un codice morale, come allora, quando ci sentivamo superbi di un’interiore nobiltà per vincere scetticismo, indifferenza ed opportunismo che possono insidiare e corrodere la democrazia”. “Solo così -continua- i giovani ritroveranno la stessa carica che avevamo a quei tempi, una carica di giovinezza che avrà, in forme diverse, lo stesso impeto innovatore e creatore”. E ancora: “forse avverrà che lealtà, generosità, coraggio, amicizia, amor di Patria si confonderanno in un nuovo, grande Umanesimo”. E’ l’Umanesimo militante di cui parla Thomas Mann nel discorso a Berlino del 1930, mentre avanza il nazismo, intitolato “Attenzione, Europa”. Conoscendo il mio amore per lo scrittore tedesco, Italiano me ne ha donato una copia: è davvero un testo premonitore.  Certamente oggi “resistere” vuol dire “resistere” contro altre forme di totalitarismo e violenza. Ma, ha ragione Italiano, dobbiamo farlo collegandoci alla Resistenza di allora, uno spartiacque cruciale della storia del nostro Paese, quello in cui bene e male sono stati distinti una volta per tutte, e che ha imposto a un popolo di schierarsi da una parte o dall’altra. Ecco perché la Resistenza è il nostro mito fondativo: così forte e universale da consentire a ognuno di riconoscersi in esso, in ogni momento della storia, anche se la vita quotidiana è diversa dall’epoca in cui quel mito si è formato. Questa è la forza della Resistenza: ci obbliga, in ogni tempo e in ogni luogo, a prendere posizione netta, o di qui o di là. Come allora Italiano e i ragazzi di vent’anni dovettero decidere a costo della vita se stare con i partigiani o con le SS, così oggi noi siamo obbligati, per esempio, a scegliere se stare con gli immigrati e chi vuole difenderli o se stare con chi vuole respingerli. O a scegliere se stare con chi vuole una Costituzione ancora basata sul lavoro e sulla sua dignità oppure con chi vuole cambiarla e basarla sull’impresa e sulla mercificazione del lavoro. Italiano nella lettera ci spinge a scegliere: “Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio. Usiamolo tutte le volte che occorre perché non prevalgano mai l’arrendevolezza e le comode e cieche viltà”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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