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Ma è proprio vero che i cittadini odiano la politica?

a cura di in data 9 Gennaio 2012 – 13:45

La Spezia, torrente Lagora (2011). Mostra del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia "Lagora (racconti per immagini)", pizzeria "Sopra il Lagora", 23 dicembre 2011-15 gennaio 2012. (foto Giorgio Pagano)

Città  della  Spezia,  8  gennaio  2012 – Una lettrice, commentando il mio articolo di domenica scorsa e in particolare il passo sul sondaggio Demos, secondo cui l’80% dei cittadini non ha fiducia nella politica dei partiti, mi chiede: “Ma non è forse la politica dei partiti, per com’è fatta, che odia i cittadini, anziché i cittadini che odiano la politica?” Domanda che induce davvero a riflettere. La lettrice prosegue affermando che la politica della prima Repubblica ascoltava i cittadini più e meglio di quanto non faccia attualmente. Ho militato nei partiti sia nella prima che nella seconda Repubblica e non ho dubbi: i vecchi partiti attribuivano un valore assai più elevato di oggi al lavoro, alla partecipazione democratica e al coinvolgimento dei cittadini, convincendoli che tramite la politica si potevano affrontare i loro problemi. C’erano anche le forme clientelari del coinvolgimento, ma il segno di fondo della politica di allora era quello di agire ascoltando i cittadini e i lavoratori e con uno sguardo che voleva orientare il futuro verso la promozione umana. Ho un bellissimo ricordo della mia esperienza nel Pci: un partito che fece molti errori, ma che fu un potente strumento, appunto, di promozione umana. Tutto era in funzione dell’emancipazione dei più deboli: a Spezia, “città-fabbrica”, erano gli operai. Li incontravo fin dall’alba per la consegna dei volantini, poi spesso a pranzo nelle mense o all’aperto nei cantieri, infine alla sera in sezione. La vicinanza al mondo del lavoro, alle sue vicende e ai suoi travagli, è stata, accanto all’università, la mia “scuola”, e  mi ha segnato profondamente: ancora oggi penso che la politica, in particolare quella della sinistra, non abbia senso se non si occupa del lavoro.

Con il passar degli anni ho assistito, a poco a poco, al degrado della politica, anche nella mia parte. Quella politica che con la sinistra aveva conosciuto i più alti momenti di passione che hanno scosso e cambiato il mondo, si è trasformata in pragmatica abilità di governare il quotidiano e nella tattica delle convenienze momentanee. “Abbiamo perso il nostro cielo, ma anche la nostra terra, cioè il rapporto con il popolo”, ha scritto Goffredo Bettini, che a differenza di me ha creduto nel Pd tanto da esserne per una fase il numero due, e che ora pensa quello che io penso da tempo: che occorre costruire una nuova e grande forza della sinistra, oltre gli stanchi partiti esistenti. Certo, nella sinistra e nella politica in generale ci sono ancora tante energie preziose e persone valide, che lavorano seriamente e si sacrificano: ma prevale l’idea della politica come incessante gioco di posizionamento tattico e di occupazione di incarichi istituzionali e come viatico per piccole e grandi carriere. E’ la politica del notabilato, che occlude l’alimentazione della linfa popolare e diseduca i giovani. La politica, per dirla con la lettrice, “che odia i cittadini”.

Mentre invece, sono d’accordo con lei, “non è vero che i cittadini odiano la politica”. Nella società si avverte un grande bisogno di politica, una politica che sappia ascoltare le richieste di quel rinnovato spirito pubblico che si è manifestato negli ultimi tempi in difesa dei beni comuni. Una politica che aguzzi l’ingegno per curare le ragioni della propria sofferenza. La mia esperienza degli ultimi cinque anni, dedicata all’impegno associativo e civico, nel mondo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, dell’accoglienza agli immigrati e della cultura, mi ha fatto capire che sono in atto fenomeni nuovi che non sono estemporanei ma rappresentano un trend della cultura politica dei nostri tempi: una sorta di attivismo reticolare, che vuole auto-organizzarsi, senza gerarchie né troppe regole, e che esprime stanchezza verso la forma partito. Quanto i partiti sono hard, lenti e distanti dai cittadini, tanto i nuovi movimenti vogliono essere soft, veloci e legati alla vita reale delle persone. Il loro punto debole è la frammentazione, la volatilità. Per trasformare la loro capacità di cogliere le vibrazioni dello “spirito del tempo” in progetto compiuto e durevole i movimenti hanno bisogno della politica dei partiti. Di nuovi partiti. Per dirla con Daniel Cohn-Bendit, “è necessario ripoliticizzare la società civile e, al tempo stesso, civilizzare la società politica”. Significa rinnovare profondamente i partiti e puntare a un loro accordo paritario con la società civile. Dalla contrapposizione all’alleanza: è l’unico modo perché i partiti non siano più screditati, e perché il risveglio civile in atto duri nel tempo e incida fino in fondo. Per me, dopo anni di distanza dai partiti, l’ingresso in Sel, forza nata per costruire una sinistra nuova, ha questo significato. Del resto, se non ora quando? Il sistema politico della prima Repubblica perse forza nei famigerati anni ’80 (quelli in cui raddoppiammo il nostro debito pubblico) e fu scassato da Tangentopoli. Oggi la crisi economica, sociale e politica ha scassato il sistema politico della seconda Repubblica. Con il governo Monti, esito della sconfitta dei partiti, sta cambiando tutto. E’ l’occasione per ricostruire partiti veri, a sinistra come a destra.

Qualche considerazione, infine, sulla realtà politica locale. Il risveglio civile c’è anche da noi, ma i partiti ne sono molto lontani. L’on. Orlando ha messo il dito nella piaga strigliando il Pd: “Bisognerebbe imparare a discutere di politica e di programmi, poi di organigrammi”. Giusto: chi ha capito il merito programmatico della dura lotta in corso da tempo tra le fazioni del Pd spezzino? Nessuno. Solo a Sarzana la contesa sta diventando più chiara, con la proposta di una svolta rispetto alle politiche immobiliari invasive, “figlie di una stagione che non c’è più”. Ho apprezzato anche il via libera di Orlando alle primarie del centrosinistra in Comune a Spezia: “se una o più forze della coalizione le chiedono, si faranno”. Un’ovvietà, ma di questi tempi… Le primarie, dunque, non si terranno più per il Presidente della Provincia, com’era forse prevedibile: la speranza è che la leadership nascente di Lorenzo Cimino non disperda la sua carica innovativa. Ma le primarie si terranno per il Sindaco. Bene, restituiamo la parola alle persone che ci vogliono ancora dare fiducia. La città ne ha bisogno, perché discutere all’aria aperta delle idee nuove serve a far rinascere una speranza collettiva. Ne hanno bisogno i partiti di sinistra, per rianimare le loro radici nel popolo. Ancor di più ne avrebbero bisogno i partiti di destra, così senz’anima come sono. Ma loro di primarie non parlano più.

lucidellacitta2011@gmail.com

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