Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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L’ecologia dei piccoli gesti quotidiani

a cura di in data 6 Novembre 2011 – 15:25
Portovenere (2010) fotografia selezionata per la mostra fotografica presso il Calandra Institute di New York "L'esperienza del viaggio attraverso i luoghi, le persone, i colori e i sapori del Golfo dei Poeti e del suo entroterra"    (foto Giorgio Pagano)

Portovenere (2010) fotografia selezionata per la mostra fotografica presso il Calandra Institute di New York "L'esperienza del viaggio attraverso i luoghi, le persone, i colori e i sapori del Golfo dei Poeti e del suo entroterra" (foto Giorgio Pagano)

Città  della  Spezia – 6 novembre 2011  – La tragedia delle alluvioni lampo (“flash-flood”) ha colpito, dopo il Levante ligure e la Lunigiana, anche Genova. I meteorologi spiegano che fino all’inizio degli anni ’90 in Italia si verificavano ogni 15 anni circa. Dal 1994 la frequenza è salita a 4 o 5 volte l’anno. Massimiliano Pasqui, dell’Istituto di biometeorologia del Cnr, ha confermato la tesi già autorevolmente espressa dal Presidente Napolitano: “Eventi così intensi sono ascrivibili al clima che muta”. Non a caso il mese di settembre è stato il secondo settembre più caldo dal 1800. Il caldo dei mari e dell’aria ha accelerato l’evaporazione, e le nuvole cariche d’acqua, in una atmosfera satura di energia, hanno dato luogo ai “flash-flood”.
Dobbiamo, dunque, imparare  molte cose da queste tragiche “lezioni”. Dobbiamo prendere tutte le precauzioni, grazie ai piani di protezione civile: evitare, in caso di “allerta due”, di metterci in viaggio, o di uscire di casa o di stare nei piani bassi. A Genova le scuole dovevano essere chiuse, non c’è dubbio. Dobbiamo, dopo decenni di sottovalutazione, dare un ruolo centrale alle politiche di difesa del suolo e rivedere i nostri criteri di pianificazione, progettazione e costruzione: ripensare, per esempio, gli standard di sicurezza idraulica, perché le fognature sono tarate su valori di piovosità di gran lunga minori rispetto agli attuali. Dobbiamo rafforzare le politiche di recupero, incentivando il “ritorno alla terra”, a quell’agricoltura sana, ecologica, costruttiva della salute dei territori che è stata sistematicamente relegata al fondo della lista delle priorità di chiunque, a cominciare dai ministri competenti.
Dobbiamo, infine, contrastare in ogni modo il riscaldamento climatico. Io, dopo il fallimento dei vertici di Copenaghen e Cancun, ho maturato la convinzione che questi summit, purtroppo, servano a poco. Dobbiamo, certamente, continuare a batterci perché i grandi della Terra cambino politica. Ma è importante farlo anche e soprattutto con un coinvolgimento personale immediato. La Terra è abitata da 7 miliardi di persone, ed è la somma dei loro comportamenti a incidere sul suo stato sanitario. Una catena di piccoli gesti può essere la risposta al flop dei vertici: il cambiamento sarà infinitesimale, ma farà crescere una coscienza ecologica diffusa e una corale condivisione dal basso dell’urgenza di agire che alla fine incideranno sulle scelte dei grandi. Il codice individuale delle cose possibili è amplissimo, e non richiede grandi sacrifici o rinunce. Innanzitutto no ad ogni spreco: buttiamo via tra energia, cibo e materie prime circa il 30% di ciò che circola nel mercato. La casa e gli uffici sono un gran colabrodo energetico, risparmiare è fattibile con poco. Dalla doccia del mattino a tv e computer spenti di notte, dall’abitudine a non lasciare accesa una luce quando si abbandona una stanza al flussometro per il controllo dei consumi d’acqua, dall’isolamento degli edifici per evitare l’uscita del caldo e del freddo prodotti a caro prezzo da caloriferi e condizionatori all’installazione di pannelli solari. Ancora: ridurre i rifiuti e differenziarli, fare il compost e coltivare un orto se si ha qualche metro di terreno, prestare maggiore attenzione al cibo che sprechiamo,  mangiare meno carne e scegliere quella del circuito biologico, andare a piedi o in bici o in autobus, o quantomeno astenersi dai Suv. La somma di migliaia di questi piccoli gesti fa la differenza tra i consumi di uno statunitense -che ha un’eco-impronta, che misura l’area produttiva necessaria per produrre ciò che si consuma, pari a 9 ettari- e quelli di un tedesco, la cui impronta ecologica non supera i 4 ettari.
Cominciamo da qui, dalla consapevolezza che si può fare molto come individui, riscattando le nostre giornate dall’incuria e irrobustendo il nostro senso civico. E che si può fare molto come comunità locale: la crisi climatica ci impone di usare i combustibili fossili negli impianti energetici il meno possibile e di puntare sulle fonti rinnovabili. Il resto verrà. Anche da parte dei grandi della Terra. Perché, come ha scritto Paul Mc Cartney, impegnato nella campagna per mangiare meno carne, “il futuro inizia con le azioni che intraprendiamo adesso”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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