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La vita ricomincia a Pegazzano

a cura di in data 16 Ottobre 2011 – 14:59
Alta via dei monti liguri, Monte Gottero   (2009)   (foto Giorgio Pagano)

Alta via dei monti liguri, Monte Gottero (2009) (foto Giorgio Pagano)

Insieme ad altri membri del Coordinamento cittadino Io non respingo sono stato a Pegazzano, nell’ex centro per disabili Asl di via Filzi: qui vivono 41 profughi giunti in Italia dalla Libia. Sono giovani africani dai 20 ai 30 anni: 35 nigeriani, gli altri provenienti da Togo, Sudan, Burkina Faso, Mali. Scrivo di loro sapendo che la gente non può neppure immaginare le storie che raccontano. Tutti, invece, dovrebbero sapere. Dovrebbero ascoltarli. Appartengono a una nuova specie di migranti: non sono maghrebini che, scontenti delle loro condizioni di vita, non sempre così miserabili, inseguono il sogno di un benessere spesso illusorio. Sono persone originarie dei Paesi più poveri del mondo, quelli subsahariani, che, dopo avere cercato e trovato lavoro in Libia per non marcire nei loro villaggi desertici, sono state costrette dal regime di Gheddafi ad affrontare un viaggio terribile. Non erano interessati a venire in Italia, volevano vivere in Libia. Anche se sfruttati: erano schiavi fantasma di un regime che non regolarizzava i clandestini, e spesso li cacciava senza paga. Ma quando sono scoppiati i disordini, i militari di Gheddafi li hanno caricati a forza in barconi fatiscenti, guidati da nuovi negrieri. Altri, invece, sono scappati per non essere uccisi dai militari, che uccidevano i neri senza motivo. Molti di loro hanno trovato la morte per acqua. I sopravvissuti hanno visto morire sotto i loro occhi decine di persone.
A Pegazzano i 41 ragazzi sono ospitati da una task force frutto dell’impegno di tutte le istituzioni, che hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per costruire una rete di responsabilità solidale rivolta anche al terzo settore. La Caritas è l’ente gestore della struttura. I ragazzi sono profughi richiedenti asilo: ora la Questura li sta interrogando, per decidere se hanno i requisiti per dare loro  il permesso di soggiorno. Che, non dimentichiamolo, è la condizione per trovare lavoro. Nel frattempo frequentano corsi di italiano, sia nella scuola di via Napoli, dove opera il Centro Territoriale Permanente per l’educazione degli adulti, sia nel doposcuola Il Pellicano di via Manin, un centro preziosissimo, anche per la socializzazione dei migranti. Gli amici Marco Cattaruzza e Mauro Dispenza, il primo nel Centro, il secondo nel doposcuola, sono davvero infaticabili. Come i volontari della Caritas, che a turni “governano” la struttura di via Filzi. Seguono tutti la lezione del vescovo Pierre Claverie, martire in Algeria: “creare luoghi umani dove si impara a guardarsi, a collaborare, a mettere in comune le eredità culturali che fanno la grandezza di ciascuno”. E che, insieme, possono fare la bellezza dello spazio che condividiamo su questa terra.
I nigeriani sono di religione cristiana pentecostale: tengono molto al culto domenicale, esercitato nella parrocchia di piazza Brin grazie alla disponibilità di don Francesco Vannini. Qui si ritrovano con la piccola comunità nigeriana residente a Spezia. Per il resto tengono a posto la casa, cucinano, fanno camminate, giocano a calcio in un campetto vicino a casa, vanno a vedere, grazie alla società calcistica, lo Spezia al Picco. Potenza universale del calcio: ha mille difetti, ma unisce tutti. Mi viene in mente quello che racconta sempre Ivan Sagnet, studente camerunense al Politecnico di  Torino, trasferitosi nel Salento per pagarsi gli studi con il lavoro stagionale della raccolta di pomodori e picchiato a sangue per aver organizzato le lotte contro lo schiavismo del caporalato: “avevo 5 anni, guardavo le partite in tv, tifavo Juve e volevo andare a vivere nella città del mio calciatore preferito, Roberto Baggio”.
Le istituzioni e le associazioni possono fare molto per l’accoglienza e l’inserimento dei ragazzi: coinvolgerli nelle tante iniziative ricreative, culturali e sportive che si tengono in città. Inoltre: ora non possono lavorare, è vero, ma possono partecipare a borse lavoro o svolgere opera di volontariato. E dopo, quando avranno, speriamo, l’agognato permesso di soggiorno? Vorranno fermarsi qui o proseguire per qualche altra città italiana o Paese europeo? Sarà quel che sarà, ci dicono, basta sopravvivere. Intanto, per fortuna, la vita è ricominciata a Pegazzano.

lucidellacitta2011@gmail.com

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