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Cooperative sociali la solidarietà utile

a cura di in data 27 Dicembre 2010 – 10:09

Il Secolo XIX – 27 dicembre 2010 – Nei giorni scorsi ero al pranzo prenatalizio dei lavoratori della cooperativa sociale Cis, ai quali mi lega un rapporto profondo: la cooperativa nacque, infatti, alla metà degli anni ’90, quando ero assessore. Con l’amico Pietro Cavallini sperimentammo una strada, che poi si dimostrò valida. Le cooperative sociali devono essere composte da almeno il 40% di persone “svantaggiate”: handicappati, ex tossicodipendenti, ragazze madri, ultracinquantenni senza lavoro… In cambio hanno un vantaggio: ad esse possono essere affidati appalti pubblici senza gara. Cominciammo con la pulizia delle scalinate ed altre opere di  decoro urbano. La città diventò più curata, e molte persone che sarebbero finite in istituti di ricovero trovarono lavoro e dignità. È solidarietà vera: non “assistenzialista”, direbbe un altro amico fraterno, don Andrea Gallo della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, ma “liberatrice”. Oggi la Cis ha 47 dipendenti, e lavora anche con altri Comuni, l’Acam e molti privati. E sono nate altre cooperative sociali. Con Pietro abbiamo discusso dell’importanza che l’Asl affidi alcuni lavori manutentivi alle cooperative sociali, con il vincolo di far lavorare persone con problemi psichiatrici e psichici: queste persone sarebbero recuperate, e l’Asl risparmierebbe la retta degli istituti. Asl e Regione dovrebbero capire che occorre fare di tutto pur di evitare la “segregazione” negli alienanti istituti psichiatrici. Grande è l’impegno della Cis in questo campo: dal 2006, al Carpanedo, c’è una casa famiglia, una struttura socio-riabilitativa di tipo “basagliano”, dove abitano sette handicappati, inseriti nel tessuto urbano e nel mondo del lavoro.
Ho poi visitato, sempre al Carpanedo, l’ultima opera della Cis: il  Centro sperimentale pedagogico per la prima e seconda infanzia, una struttura immersa nel verde dove far vivere ai bambini da uno a sei anni esperienze stimolanti e creative. E’ una prova ulteriore della ricchezza del tessuto sociale e associativo spezzino, e insieme dell’impegno delle istituzioni locali, che supportano, nonostante i devastanti tagli governativi, le migliori esperienze del privato sociale, sia laico (Pietro rivendica orgogliosamente il suo socialismo) che religioso. Esperienze che collaborano tra loro, come è naturale che sia. E’ la Caritas, dice Pietro, “a segnalarmi spesso le persone per la cooperativa”. L’8 dicembre ero a Genova, alla festa per i quarant’anni della Comunità di don Gallo: la chiesa era gremita di credenti e non credenti, che insieme, alla fine, hanno recitato, mano nella mano, il Padre Nostro e cantato Bella ciao. In fondo ha ragione il cardinal Tettamanzi. “è meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”. È uno slogan che richiama tutta la Chiesa e i credenti a vivere con intensità le nuove sfide che la città terrena loro presenta. E che invita la sinistra e i non credenti a riconoscere nel fenomeno religioso un elemento costitutivo di una moderna cultura della solidarietà. Le forze che si sono date il compito di far diventare liberale la sinistra italiana hanno svolto il loro compito. Ora il problema della sinistra è un altro: non dimenticare la socialità e l’eguaglianza. A tal fine ascoltare e comprendere il messaggio religioso è fondamentale.

lontanoevicino@gmail.com

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