Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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La sinistra riparte da Vendola e da Pisapia

a cura di in data 19 Novembre 2010 – 10:23

Il  Secolo XIX – 19 novembre 2010 – Le primarie milanesi sono un segnale inequivocabile: la richiesta che torni in campo, finalmente, una sinistra distinta dalla destra, che non si nasconda e non rinunci a se stessa. Ecco perché Giuliano Pisapia, una persona con una storia di impegno e di passione politica a sinistra, ha sconfitto Stefano Boeri, un candidato che, nonostante il sostegno del Pd, è stato giustamente percepito solo come un bravo professionista di successo.
Il risultato milanese ha a che fare con il grande tema sollevato qualche giorno fa da Michele Salvati in un articolo sul Corriere della sera: perché la differenza tra destra e sinistra non si ritrova nelle pratiche dei partiti di sinistra sia che siano all’opposizione sia che siano al governo? Perché i partiti di sinistra  non fanno o almeno non dicono “qualcosa di sinistra”? Perché non si oppongono con coraggio a diseguaglianze e ingiustizie?
Sono domande fondamentali. Provo a rispondere traendo spunto da qualche esperienza personale. Nella mia città, La Spezia, il coordinamento associativo Io non respingo ha presentato il film “Il sangue verde” sui fatti di Rosarno, una testimonianza drammatica sullo schiavismo, l’ipocrisia, il razzismo presenti nell’Italia di oggi. In sala c’erano tanti lavoratori immigrati, soprattutto africani. Ma nessun rappresentante dei partiti di sinistra. Eppure a Rosarno la sconfitta culturale della sinistra ha mostrato forse il suo punto più drammatico. E la sinistra non risalirà mai la china se non avrà il coraggio di ripartire da quei braccianti neri che si sono ribellati allo sfruttamento della ndrangheta. Il fatto che il 15% della forza lavoro del nostro Paese non abbia diritti è un problema che riguarda non soltanto gli immigrati, ma la nostra democrazia. Che si impoverisce perché è sempre meno inclusiva e sempre più elitaria. Rosarno è dappertutto, perché la crisi e la “fame” di lavoro comportano dappertutto irregolarità e sfruttamento. Alla Spezia la fabbrica “rossa” per eccellenza, il cantiere Inma, oggi San Marco, ha solo 95 dipendenti; il grosso del lavoro operaio viene svolto, sei giorni su sette, da 123 rumeni, sottopagati da una società che presta manodopera: 5 euro all’ora, contro i 9,30 previsti dal contratto. Perché accadono queste cose in un Paese dove la sinistra è stata tanto forte? Perché in questo ventennio tutti, destra e sinistra, hanno offerto più o meno le stesse cose: crescita delle diseguaglianze, drastico ridimensionamento delle classi medie, bassi salari, precariato, riduzione del lavoro a merce e spoliazione del lavoro dai diritti. Dietro la crisi della sinistra ci sta questo: la subalternità alla tesi, rivelatasi fallimentare, secondo cui la globalizzazione sarebbe stata un processo vantaggioso per tutti.
Che fare, allora? Oggi Di Vittorio starebbe tra i braccianti neri. Ma non solo tra loro: perché il mondo del lavoro è frammentato, e servono intelligenza e passione per calarvisi dentro e offrire rappresentanza politica a tutti i segmenti, tradizionali e nuovi. Insomma, non bisogna tornare alla vecchia sinistra fordista e vanno rivisti i tradizionali confini di classe: ma non c’è sinistra senza il lavoro come luogo fondativo della politica, senza la battaglia per l’eguaglianza, senza la critica al neoliberismo.
Ma ciò non basta per rispondere alle domande di Salvati. Il conflitto oggi va molto oltre la sfera economica e distributiva, investe i modelli di vita, la qualità dell’organizzazione sociale, il rapporto uomo-natura. Me lo suggerisce un’altra esperienza recente. Ero a Terra Madre, la grande “Onu dei contadini” di tutto il mondo, che si battono per modi di produzione e di consumo rispettosi dell’ambiente e della biodiversità. Con loro c’erano grandi pensatori, da Edgar Morin a Manfreed Max-Neef, e migliaia di giovani. Nessun partito di sinistra, ovviamente. Eppure dalle sfide lanciate a Terra Madre la sinistra non può prescindere: dall’ascolto dei saperi tradizionali per farli incontrare con la scienza e le più moderne tecnologie, alla comprensione e valorizzazione dei  fermenti creativi in atto (anche se passano sotto silenzio) ispirati alla valorizzazione della diversità, alla cultura del dono, al senso profondo del dialogo e dell’incontro. Il sociologo Ulrich Beck ha scritto che oggi serve un “Keynes II che superi Keynes I”. E’ così, ma non è sufficiente: serve un nuovo pensiero umanistico.
Ecco, il successo di Nichi Vendola e di Giuliano Pisapia sta nell’inizio di un’opera di ricostruzione del discorso della sinistra che parte dal lavoro ma anche dallo stupore e dalla curiosità per nuove forme di rispetto della Terra, di sviluppo più umano e di ricerca di quella bellezza che ha a che fare con il buono e il giusto. E’ un progetto ancora incompiuto, ma esprime una speranza: una sinistra distinta dalla destra, che non abdica più alle idee degli altri e rialza la testa. Per ritrovare se stessa e riparlare al Paese.

Giorgio Pagano
L’autore si occupa di cooperazione in Palestina e in Africa ed è segretario generale della Rete delle città strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo

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