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Il progetto nucleare disegnato alla lavagna

a cura di in data 29 Ottobre 2010 – 15:47

Il  Secolo  XIX – 29 ottobre 2010 – Il nucleare italiano vuole ripartire. Dopo una lunga assenza è stato finalmente nominato il nuovo Ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani, che ha subito provato ad accelerare, a partire dalle nomine dei vertici dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. In realtà il progetto del nucleare italiano rimane largamente incompiuto, e  ricorda sempre più le “grandi opere” disegnate da Silvio Berlusconi sulla lavagna di Bruno Vespa. L’Agenzia, per esempio, che ne è strumento indispensabile, è ancora priva di Statuto, organici, risorse. Solamente lo scorso 26 aprile Berlusconi disse che “i lavori per la prima centrale italiana partiranno in questa legislatura, cioè entro tre anni”. Parole del tutto infondate, dato che i passaggi previsti dal decreto legislativo 31 del 2010 rendono impossibile avviare la costruzione di una centrale prima del 2017. Per vedere una centrale a regime, ammesso che il Governo ce la faccia, dovremo quindi  aspettare non la prossima legislatura, ma quella successiva.
Intanto, però, prosegue la campagna di comunicazione del Governo, fortemente segnata dalle ragioni della propaganda. Innanzitutto sulla questione dei costi. La costruzione di una centrale Epr, come quelle che il Governo vorrebbe costruire in Italia, ha oggi un costo di 7 miliardi di euro, anziché i 5 sbandierati. Basta leggere le motivazioni con cui il Governo canadese ha rinunciato alla costruzione di due nuove centrali Epr: perché erano stati chiesti 14 miliardi di euro. Se poi aggiungiamo i costi dell’intera filiera: estrazione del minerale, dismissione della centrale, smaltimento delle scorie e bonifica del territorio, capiamo che non è affatto vero che il nucleare è più economico. Anzi, i costi dell’energia elettrica diventerebbero più alti di quelli attuali. Non a caso l’Enel, che dovrebbe costruire le centrali, ha più volte chiesto la certezza dell’acquisto di tutta l’energia nucleare prodotta a un prezzo minimo garantito: una pesante alterazione del mercato elettrico necessaria perché in un’economia di mercato il nucleare non è competitivo. Lo diventa solo con un forte sostegno pubblico  a carico dei cittadini consumatori (che già ogni anno pagano in bolletta 400 milioni di euro per lo smantellamento del vecchio nucleare). E’ questo il motivo per cui oggi in tutto l’Occidente sono in costruzione due soli impianti nucleari, uno in Francia a Flamanville e uno in Finlandia a Olkiluoto, sempre di tipo Epr. L’impianto finlandese, iniziato nel 2005, doveva essere consegnato entro il 2009, ma si parla del 2012, mentre i costi di costruzione sono saliti del 70%: dai 3 miliardi iniziali agli attuali e per nulla definitivi 5,5. E che i conti non tornino lo ammettono in tanti, anche favorevoli al nucleare: dagli scienziati del Mit -che valutano che i costi siano cresciuti, dal 2003, del 15% l’anno- agli analisti di Moody’s e di Citigroup, che hanno titolato un loro studio “New nuclear, the economica say no”.
Ma la campagna del Governo non convince nemmeno sulla sicurezza. Non è vero che le centrali nucleari sono sicure. Basti pensare alle statistiche degli incidenti. E ai rischi particolari di un territorio come quello italiano, densamente abitato e a rischio sismico. I pericoli sono rilevati anche da documenti interni della società Edf sul reattore di Flamanville. Perfino le Agenzie di sicurezza di Francia, Gran Bretagna e Finlandia, Paesi impegnati nel nucleare, mettono in discussione la sicurezza dei reattori Epr. E poi c’è il problema del confinamento delle scorie radioattive, tuttora irrisolto come dimostra il fallimento del tentativo del Governo americano di costruire un cimitero nucleare nella Yucca Mountain in Nevada, mai entrato in funzione dopo aver speso in vent’anni 8 miliardi di dollari.
La campagna, infine, non dice la verità sull’ambiente. Non è vero che gli impianti nucleari non producono anidride carbonica: basti pensare a quella generata nel processo di estrazione e arricchimento dell’uranio, nella costruzione della centrale  e nello smaltimento delle scorie.
Bisognerebbe, su questi temi, aprire un confronto vero e argomentato nel Paese. Che spieghi la differenza tra i reattori attuali, di terza generazione, e quelli di quarta, su cui la ricerca è molto avanti, che dovrebbero affrontare alla radice i problemi della sicurezza, abbattendo i costi. Che sveli il sorpasso storico che si è verificato tra i costi del nucleare e quelli dell’energia solare fotovoltaica, per la prima volta inferiori; e che racconti come, su questa base, nel resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Germania, i Governi stiano cambiando le strategie per finanziare ricerca e uso delle rinnovabili. E che ci metta di fronte a una scelta: perché l’Italia non ha le risorse per fare tutto, e quindi il nucleare è alternativo allo sviluppo delle rinnovabili.
Nonostante l’assenza di questo confronto, gli italiani sono in maggioranza contrari al nucleare, come attestano sia la ricerca dell’istituto Format sia quella di Eurobarometro. Non c’è nemmeno il consenso delle Regioni: lo conferma la fuga dal nucleare, per quanto opportunista, dei Presidenti di Regione del centrodestra, per i quali l’unico nucleare buono è quello costruito altrove. Tant’è che il Governo ha approvato una norma che gli consente di costruire le centrali anche senza il consenso delle Regioni. Si pensa forse di procedere manu militari? Il nucleare italiano è davvero in un caos senza sbocchi.

Giorgio Pagano
L’autore si occupa di cooperazione in Palestina e in Africa ed è segretario generale della Rete delle città strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.

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