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Dalle chiese perdute al bisogno di identità

a cura di in data 30 Agosto 2009 – 18:25

Il Secolo XIX   30 agosto 2009 – La rubrica è dedicata a un libro di storia uscito nei mesi scorsi: “La Madonna della Scorza e le chiese perdute della Spezia” di Alberto Scaramuccia, da tempo impegnato in ricerche sul nostro territorio.

Nel libro si parla delle chiese che la venuta dell’Arsenale condannò alla demolizione. La Madonna della Scorza, situata  tra viale Ferrari e via Fiume, e la successiva chiesetta di piazzetta Ancona (incorporata nell’albergo Terminus), che ospitarono l’immagine della Madonna che è nella chiesa di Piazza Brin. E  tutte le altre chiese scomparse: quella di S. Carlo, in via Sapri, che fu ridotta  a teatro; di S. Gottardo, nell’area dove sorge il Palazzo della Provincia; di S. Apollonia, ricordata in una lapide di piazza Ginocchio. Le chiese mariane vicino al Lagora: la Madonna del Lagora, posizionata sul lato sinistro del torrente, ritratta dal Fossati in un dipinto conservato in Comune; Nostra Signora degli Angeli, Nostra Signora di Loreto e la Madonna dello Starolo. Ancora: le chiese di S. Brizio e S. Antonino, nella parte nord di viale Amendola, e la Madonna del Porto e la chiesa di S. Vito a Marola, lungo la via per Portovenere.

L’autore sottolinea che le chiese “al di là dell’importante momento religioso, assolvevano anche ad un rilevante ruolo sociale e civico”. Il fatto religioso, grazie a questo carattere “civile”, diventò elemento unificatore della collettività. Quel sentimento riusciva a legare le persone in una comunità. Insomma, le chiese svilupparono negli spezzini “senso di appartenenza” e “sentimento identitario”.

Nelle pagine finali è espressa una speranza: che si ritrovi un momento di sentire comune e si costruiscano forme nuove di comunità.

E’ un tema più che mai attuale. Da luogo della reciprocità e dell’essere in comune le città sono diventate luogo dell’alterità e della coabitazione competitiva di diversi. Né le chiese né le piazze, spesso sostituite dalle strade, sono lo spazio pubblico identitario di un tempo.

E tuttavia la traccia della prima radice della città è destinata a restare a lungo. Ho sempre pensato la città ancora come luogo dell’incontro e della socievolezza, anche nell’epoca della solitudine e della paura. In questa ricerca mi hanno guidato alcune idee.

La prima è che la città, per essere comunità, non può rinunciare al centro. La città deve conservare-restituire e moltiplicare, mai dissolvere la centralità. A Spezia abbiamo ricreato il centro storico, là dove c’erano solo asfalto e macchine, e fatto sì che in ogni quartiere della città ci fosse un centro, cioè la piazza. E presto sorgeranno nuove centralità, dal waterfront all’area ex Ip.

La seconda idea è che la città è comunità se è di tutti e se è partecipata da tutti. La costruzione condivisa del progetto della Spezia del futuro – i due piani strategici- ha fatto sì che la città non fosse di qualcuno: oligarchie o cordate di potere. Ognuno è stato partecipe, compreso il dissenso.

Infine: perché ci sia sentimento identitario servono le coscienze e i cuori, i cittadini che amano la città e si impegnano in un’impresa comune. Così i luoghi della vita saranno luoghi di vita, cioè veramente umani, e la partecipazione non sarà solo consenso o applauso. Per ridare fiducia e speranza ai cittadini occorre “proporre un ideale”, scrive il cardinal Tettamanzi. Le chiese perdute possono”tornare” solo così, agendo insieme a tutte le altre tendenze etiche per l’ideale di una città umana, ricca di valori morali e civili, dove “nessuno sia un’isola”.

lontanoevicino@gmail.com

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